Voglio un teatro VIVO

Una delle cose che mi hanno sempre attratto del fare teatro è la possibilità di vestire i panni, anzi di più, di essere un'altra persona, con caratteristiche lontanissime da me, o magari anche simili ma con sfumature diverse. Vivere in altre epoche e in altre città o ritrovarsi al di fuori di tempo e spazio precisi. A volte nella vita normale, per un motivo o per un altro, ci capita di rimproverarci di essere troppo o di non essere abbastanza. Oppure invidiamo quelli che riescono a comportarsi in un determinato modo piuttosto che in un altro. A teatro invece puoi essere tutto e il contrario di tutto. Questo mi ha sempre ispirato un enorme senso di libertà e di grandezza.

Certo, poi succede che mi trovo davanti a questo succulento piatto di possibilità e devo lottare con alcune resistenze dettate dalla mia testa. Per esempio se mi viene chiesto di interpretare una prostituta, improvvisamente il mio corpo si irrigidisce, il mio cervello si immobilizza e non manda segnale alcuno... Pronto?! Prontooo?! Echeppppalle! Ops, pardon.

Ok, ci devo lavorare. Devo convincere la mia testa, la mia peggior nemica in quei momenti, che va tutto bene. La devo invitare a mettersi tranquilla in disparte a guardare, senza la prepotenza di voler per forza metterci il naso per dire la sua. La mia testa è invadente e ingombrante in certi casi. Devo rassicurala che sono in uno spazio protetto. Altrimenti mi rimprovero quando faccio male la parte o non arrivo proprio a farla, quando non vivo fino in fondo quell'essere così lontana da me stessa. In quei casi mi sembra di aver perso un'occasione, di aver sprecato tempo.

Al contrario invece, quando (quasi) ci riesco... che bella sensazione! Un misto di formicolio e brividi che attraversano ogni centimetro del mio corpo, come se avvenisse una magia, una metamorfosi. Ecco, sono Ercolina una finta vedova acida e tagliente, sono Ecuba regina ormai solo nell'animo, sono Kenga giovane gabbiana che in punto di morte affida il suo prezioso uovo ad un gatto sconosciuto, sono un'Ofelia svampita e incinta, sono una Luciana Vatlin dama francese di inizio '900 un po' impettita e un po' frivola, sono una donna al limite della pazzia nel ricordo di una violenza, sono una spagnoleggiante madonna Oretta, sono una dea Artemide a caccia del suo cinghialotto…

Però non ci si riesce mai fino in fondo ad "essere" qualcun altro. E probabilmente questo è un bene, perché è questa tensioneverso a tenere vivo l'atto teatrale. Il tentativo di essere oltre l'interpretazione. Se si riuscisse immediatamente ad essere il personaggio interpretato ci si sentirebbe arrivati e ci si "siederebbe", si raggiungerebbe l'equilibrio e lì finirebbe il teatro. Allora, guai a sedersi e... che il teatro sia sempre vivo!

Alessandra F.

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