Ma chi me l’ha fatto fare

“Sento il cuore battere forte, mi tremano le gambe, il respiro è veloce e la mente vaneggia per i fatti suoi. Odio spero di non dimenticarmi
le battute! Devo ricordarmi quando tocca a me, speriamo vada tutto
bene!”.
Tutti noi nel momento prima di andare in scena abbiamo una paura matta di quello che può succedere; stai lì dietro alla tenda a cercare di ripassare fino all’ultimo le battute da dire, i movimenti da fare.
Ti isoli cercando dentro di te la scintilla di quella emozione che sarà pronta a travolgerti in base alla storia che vuoi portare in scena: quale vita racconterai questa volta? Quella di una cameriera che
in uno studio di un dottore che in un qualche fantomatico modo ha ottenuto il siero dell’eterna giovinezza e vede un avanti ed
indietro di personaggi che chiamarli tali e dire poco? Oppure sarai un folletto che senza pensieri vaga per il posto più difficile da raggiungere, la collina dei nostri pensieri? Oppure ancora una vedova che piange disperata il suo povero marito ma che dovrebbe piangere soprattutto per la famiglia in qui è capitata?
Sono tanti i ruoli che potresti trovarti a fare e potrebbero essere spiritosi, grintosi, colorati, ma anche tristi, cubi, drammatici come se fossi una figlia rinchiusa dentro la casa di tua madre ed assistessi al crollo della vita di chi ti è intorno.
Sono davvero tanti!
È un’altalena di emozioni che in poche ore ti riempiono e allo stesso tempo ti svuotano. Ti svuotano di quello che sei tu realmente, diventi il contenitore della scena e può succedere che il personaggio sia vicino al tuo io, allora la tua ricerca potrebbe essere più semplice.
Ma quando devi lavorare su una persona che è diversa da te, come fai? Lì inizia un vero e proprio lavoro: come un cartografo studi la mappa delle emozioni, della vita, delle espressioni ed abitudini di quella vita. Arrivi a costruire il sentiero che ti porterà all’interpretazione: ognuno però lo costruisce a modo suo.
Questo è l’inchiostro che dipinge uno spettacolo:
l’unicità dell’attore.
E allora ci vedi prima dell’inizio che giriamo in cerca dei nostri spazi, della nostra chiave di lettura. Dopo aver trovato il personaggio durante i mesi di preparazione precedente, dobbiamo raggiungerlo in quei momenti prima di entrare in scena. È un contatto davvero profondo perché anche se la storia è inventata il personaggio esiste: respira, parla, si
emoziona, ascolta; interagisce con il mondo che gli sta intorno. Si alza come condensa dal palcoscenico e piove come pioggia su chi lo guarda.
Se ci ripensi senti ancora così tanta energia che in realtà non vedevi l’ora di iniziare. Il cuore ha così tanta energia che poverino per rallentare cerca l’aiuto delle mani e delle gambe che iniziano a muoversi, non riesci a stare fermo. Vuole entrare in gioco anche il respiro per cercare di dissipare un po’ l’agitazione iniziando ad essere più profondo oppure accelerato; ma per fortuna non ce la fanno a perdere quell’energia perché alla fine quando inizi è tutta lì che ti sostiene ed esplode nelle migliori interpretazioni e colori. È un’esperienza davvero intensa che una volta finito tutto ti sembra impossibile sia venuta e già passata. E allora magari ti metti a ripensare al primo giorno in cui sei entrato al Velario:
cosa ti ha portato lì? Magari la curiosità, la passione, la ricerca di qualcosa di nuovo… ci sono molte possibilità, ma di sicuro in quella sera quando il sipario si è chiuso sulla storia che hai rappresentato, hai la tua buona stella, qualunque essa sia, per averti fatto salire quei gradini ed attraversare la porta dell’ingresso.

Greta P.

Nessun commento ancora

Lascia un commento